Esercitazione 9_Architettura e Modernità

 ARCHITETTURA E MODERNITÁ

 Libro settimo. Il successo dell’architettura nel mondo 

 1988-2000 

 Dalla mostra del Decostruttivismo al Guggenheim di Bilbao


RIASSUNTO

Il capitolo settimo di Architettura e Modernità di Antonino Saggio esplora le trasformazioni architettoniche degli ultimi decenni, con un focus particolare sulla mostra Deconstructivist Architecture, inaugurata nel 1988 al MoMA di New York. Curata da Philip Johnson e Mark Wigley, questa esposizione promuoveva il decostruttivismo come nuova corrente architettonica, mettendo in luce l'influenza di architetti come Peter Eisenman, Zaha Hadid, Frank Gehry, Coop Himmelb(l)au, Bernard Tschumi, Daniel Libeskind e Rem Koolhaas. Il decostruttivismo segnava un passaggio dall'estetica postmoderna a un linguaggio architettonico più frammentato e dinamico, ispirato dalle teorie della decostruzione del filosofo Jacques Derrida, che destabilizzavano i testi tradizionali, trasformandoli in qualcosa di nuovo. Gehry, ad esempio, con la sua casa a Santa Monica, sovvertiva la percezione della tipica casa americana, utilizzando materiali non convenzionali e un'estetica disordinata.

Questo movimento si inserisce anche in un contesto storico di cambiamenti geopolitici profondi, come la caduta del muro di Berlino, che segnarono un’apertura dei confini e un’accelerazione della globalizzazione economica. L’architettura divenne così specchio di un mondo frammentato, come nel caso del progetto di Libeskind per il Museo Ebraico di Berlino, che traduce in spazio architettonico il dramma della storia. Inoltre, il capitolo esplora come l’informazione e la comunicazione, concetti fondamentali nella società contemporanea, abbiano influito sull’architettura, dando vita a edifici che comunicano direttamente con il pubblico, come nel caso di Steven Holl e del suo Museo Kiasma ad Helsinki. In questo progetto, Holl coniuga metafore e simboli con il contesto urbano, creando un edificio che diventa parte integrante della città dell'informazione.

L’architettura di Peter Eisenman, invece, propone il concetto di "Blurring" (sfocamento), rispondendo al problema del movimento non risolto dalle avanguardie precedenti. Ispirato dalle tecniche futuriste di Giacomo Balla e Marcel Duchamp, Eisenman crea spazi che diventano dinamici, dove il movimento non è semplicemente rappresentato, ma diventa il principio generativo del progetto. Esempio di questo approccio è la Casa Guardiola a Cadice, dove le geometrie ondulatorie generano un nuovo paradigma architettonico. Eisenman applica questa stessa logica nella progettazione della Facoltà di Architettura all'Università di Cincinnati e nel progetto urbano di Rebstock Park a Francoforte, creando spazi complessi e fluidi che sfidano i tradizionali modelli di progettazione urbana.

Un altro esempio di innovazione architettonica è l'approccio di Frank Gehry, che trasforma l'architettura in una danza di volumi e forme fluide, dove gli spazi diventano dinamici e interattivi. Il Museo Guggenheim di Bilbao è uno degli esempi più emblematici di questa poetica, con superfici curve e traiettorie deformate che creano un'architettura integrata con il contesto urbano, trasformando un'area industriale degradata in un paesaggio vibrante e sensoriale. Gehry utilizza un sistema costruttivo in acciaio triangolato, che non solo ottimizza i costi, ma rende l'architettura visivamente straordinaria e funzionalmente efficiente.

Infine, il concetto di "spazio organo", tipico del Novecento, si contrappone a quello di "spazio sistema". Mentre nello spazio organo, come nel Museo Guggenheim di New York di Frank Lloyd Wright, lo spazio si conforma alla funzione, nello spazio sistema, come nel Museo Guggenheim di Bilbao, la progettazione si basa su una rete complessa di scelte indipendenti che interagiscono tra loro in un processo iterativo. Questo approccio, che abbandona la rigidità della razionalizzazione industriale, riflette una nuova visione dell'architettura, più simile a una rete connesse sistemicamente, e segna una liberazione dalle strutture gerarchiche tradizionali. Sebbene questa concezione possa apparire complessa e inquietante, essa ha portato a una qualità architettonica mai vista prima, con un impatto pubblico ampiamente riconosciuto.



COMMENTO

Il capitolo esplora in modo ampio le trasformazioni nell'architettura degli ultimi decenni, evidenziando il passaggio dal modernismo alla decostruzione. Tra gli architetti citati la mia attenzione si è posata su Steven Holl. La sua visione architettonica, legata a una ricerca sensoriale, poetica e fenomenologica dello spazio, si inserisce in un contesto più ampio di rottura con le certezze strutturali e funzionalistiche tipiche dell’architettura modernista. In questo panorama di innovazione, la decostruzione rappresenta una delle correnti più significative e affascinanti, poiché rifiuta le rigide convenzioni del modernismo, introducendo un approccio più frammentato, dinamico e relazionale.

Rispetto al modernismo, che prediligeva la razionalità e la semplicità formale, con l’idea che "la forma segue la funzione" (principio cardine di Le Corbusier e Mies van der Rohe), la decostruzione abbraccia il caos, la discontinuità e la sfida alle strutture lineari. Invece di seguire regole rigide e universali, gli architetti decostruttivisti si ispirano al pensiero di Jacques Derrida, il filosofo che ha teorizzato la decostruzione come metodo di analisi dei testi. Questo approccio destabilizza il linguaggio architettonico, trasformando forme, superfici e geometrie in elementi che non si conformano più a un ordine prestabilito, ma si intrecciano, si sovrappongono e si frantumano.

Nel contesto di questa evoluzione, l'architettura di Steven Holl si inserisce come una risposta sensibile e sofisticata, che fonde poesia e funzionalità, mentre rifiuta l'approccio formale del modernismo. Nel suo Museo Kiasma di Helsinki, per esempio, Holl non si limita a progettare un edificio come un contenitore per opere d'arte, ma crea un luogo dove la forma è profondamente legata alla percezione e all’esperienza sensoriale degli utenti. Il suo approccio non è solo funzionale, ma fenomenologico, ed è qui che emerge la differenza principale rispetto al modernismo. L’architettura di Holl non è mai statica o universale, ma si fa esperienza, mutando e adattandosi alle condizioni ambientali e alle emozioni di chi la vive. La luce, il movimento, la metafora del "non-luogo" che caratterizzano i suoi progetti sono un invito ad esplorare lo spazio in modo dinamico, come una continua scoperta.

Mentre nel modernismo la geometria e la purezza delle forme erano visti come strumenti di chiarezza e universalità, nella decostruzione (e in parte nell’approccio fenomenologico di Holl) la geometria si fa strumento di complessità e trasformazione. Le linee rette e i volumi semplici sono sostituiti da curve, inclinazioni e superfici che sembrano in perenne movimento, destabilizzando l’idea di un’architettura come prodotto finito e ordinato. La decostruzione permette a ciascun elemento di esistere in relazione agli altri, creando un sistema complesso di scelte indipendenti che, pur non essendo rigidamente legate, si combinano per dar vita a un’architettura in continuo divenire. Questo approccio si distacca fortemente dalla visione modernista, che vedeva ogni parte del progetto come subordinata a una visione unitaria e razionale.

In sintesi, il passaggio dal modernismo alla decostruzione e all’approccio di Holl rappresenta una vera e propria rivoluzione concettuale. Se nel modernismo l’architettura era intesa come una macchina razionale, perfetta e funzionale, nell'architettura decostruttivista, e in quella fenomenologica di Holl, l'architettura diventa un processo fluido, dinamico e legato alla percezione sensoriale. 

L'architettura non è più solo un elemento estetico o funzionale, ma una parte integrata e sensibile della nostra esperienza quotidiana.

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